Analisi del ddl lavoro dopo approvazione Senato

 

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Osservazioni

Art. 1, commi 1 e 2

1 – Delega al governo in materia di ammortizzatori sociali

Gli obiettivi sono: assicurare tutele uniformi e legate alla storia contributiva di ogni lavoratore; razionalizzare la normativa; coinvolgere attivamente le persone; semplificare le procedure; ridurre gli oneri. I mesi di tempo per l’esercizio della delega sono sei. Gli ammortizzatori si distinguono in:

a.                 ammortizzatori in costanza di rapporto di lavoro; i principi direttivi sono: esclusione delle attività o ramo di attività cessate; meccanismi standardizzati di concessione attraverso l’incentivo di strumenti telematici e digitali; prima della concessione esaurire gli strumenti contrattuali, eventualmente destinando parte delle risorse ai contrati di solidarietà; revisione dei limiti di durata da rapportare al numero massimo di ore ordinarie lavorabili; maggiore compartecipazione delle imprese utilizzatrici; rimodulazione degli oneri per settori; revisione delle norme su Cigo, Cigs e fondi di solidarietà bilaterali (ex Cigd), fissando un termine certo per l’avvio dei fondi necessari; eventuali risparmi di spesa sono indirizzati verso gli ammortizzatori sociali e le politiche attive.

b.                 sostegno in caso di disoccupazione involontaria; i principi direttivi sono: rimodulazione dell’Aspi e mini Aspi con durata connessa alla storia contributiva del lavoratore; incremento della durata per i lavoratori con storia contributiva rilevante; universalizzazione Aspi anche ai cococo (esclusi amministratori e sindaci) con sperimentazione; introduzione di massimali per la contribuzione figurativa; ulteriore sostegno su base Isee con obbligo di attivazione; eliminazione dello stato di disoccupazione per accesso a servizi assistenziali.

I soggetti che fruiscono degli ammortizzatori sociali sono coinvolti in attività pro-comunità locali, tenuto comunque conto della finalità di incentivare la ricerca attiva di nuova occupazione. È previsto anche l’adeguamento delle sanzioni, secondo criteri oggettivi ed uniformi, nei confronti del lavoratore indisponibile a nuova occupazione, formazione o attività pro-comunità locali.

Premesso che una riforma degli ammortizzatori sociali non può essere a costo zero, i commi 1 e 2 si prestano ad ulteriori osservazioni critiche. Si condivide l’obiettivo di assicurare delle tutele uniformi a tutti i lavoratori, ma occorre chiarire da subito cosa si intenda quando si afferma che tali tutele debbano essere “legate alla storia contributiva dei lavoratori”. È di tutta evidenza che si dovrà tener conto di tutti i contributi versati, compresi quelli afferenti alla gestione separata, e non soltanto di parte di essi. Relativamente alla lettera a (strumenti di tutela in costanza di rapporto di lavoro), la cassa integrazione – ordinaria, straordinaria e in deroga – ha svolto un efficace ruolo di ammortizzatore sociale, anche se non sono mancati utilizzi difformi ed elusivi delle norme di legge. Occorre quindi ripartire dall’esistente, migliorando il monitoraggio (è utile, ad esempio, il dato sull’effettivo tiraggio e non soltanto quello sulle ore autorizzate) e i controlli in fase di concessione. Positiva la semplificazione delle procedure e il rafforzamento dei contratti di solidarietà, garantendo comunque sempre un ruolo centrale alle parti. Preoccupante, invece, la revisione dei limiti di durata contenuta nella delega (punto 4): senza indicazioni più precise, si rischia un taglio drastico. I punti 5 e 6 (compartecipazione e rimodulazione dei contributi) devono necessariamente essere letti insieme, in quanto vanno di pari passo. Il passaggio dalla cassa in deroga ai fondi di solidarietà bilaterale si sta mostrando molto complesso, per cui è fondamentale rivedere il regime transitorio, al fine di assicurare comunque un sostegno al reddito. Rispetto agli strumenti di sostegno in caso di disoccupazione involontaria, l’omogeneizzazione di ASpI e mini ASpI non può assolutamente portare ad una stretta dei requisiti di accesso o ad una contrazione dell’indennità in termini temporali o di ammontare. Come noto, l’ASpI riduce sensibilmente la durata della mobilità, con forti penalizzazioni soprattutto per i lavoratori over 50 del Mezzogiorno. Anche questo è quindi un punto sul quale riflettere. L’estensione dell’ASpI alle collaborazioni coordinate e continuative comporterà un aggravio contributivo; da valutare anche l’estensione alle partite iva, in particolare quelle in monocommittenza. Sul reddito di ultima istanza si esprimono delle perplessità, in ragione del fatto che nel nostro Paese è ancora forte il ricorso al lavoro nero che potrebbe essere paradossalmente favorito da questa misura. L’eliminazione dello stato di disoccupazione come requisito per l’accesso ai servizi di carattere assistenziale ha ripercussioni dirette sul welfare territoriale, in quanto si tratta di un requisito che fa punteggio per accedere a servizi diversi, dalla casa al trasporto pubblico locale, passando per il diritto allo studio e alla mensa. Eliminando questo riferimento diventa, però, fondamentale rafforzare i controlli da parte degli enti erogatori, al fine di valutare l’effettiva necessità delle persone e delle famiglie. Il coinvolgimento in attività a beneficio delle comunità locali di persone che usufruiscono degli ammortizzatori sociali è nel complesso condivisibile, anche se tali attività, soprattutto se si tratta di persone in ASpI, dovrebbero comunque prevedere un intervento formativo. Da evitare, inoltre, la percezione nelle persone impiegate di un possibile transito nella pubblica amministrazione o in enti ad essa collegata, così come è accaduto con gli Lsu impiegati nelle pulizie delle scuole. Occorre, infine, una particolare attenzione anche in merito alle sanzioni in capo al lavoratore disoccupato che non si rende disponibile a nuova occupazione, a formazione o lavoro di pubblica utilità; non si vuole certo difendere il fannullone, ma è di tutta evidenza che si rischia una norma fortemente penalizzante soprattutto per le lavoratrici e i lavoratori con carichi familiari.

Art. 1, commi 3 e 4

2 – Delega al governo in materia di servizi per il lavoro e le politiche attive

Gli obiettivi sono: permettere la fruizione dei servizi essenziali su tutto il territorio; assicurare l’esercizio unitario delle funzioni amministrative. I mesi di tempo per la delega sono sei; è prevista un’intesa con la Conferenza permanente Stato-Regioni, mancando l’intesa la Presidenza del consiglio agisce in maniera motivata.

I principi direttivi sono: razionalizzazione degli incentivi sulla base di criteri statisticamente osservabili che tengano conto della probabilità di assunzione, con criteri di valutazione e verifica dell’efficacia e dell’impatto; cornice giuridica nazionale sugli incentivi per autoimpiego e autoimprenditorialità; istituzione di un’Agenzia nazionale per l’occupazione, con coinvolgimento delle parti sociali nella definizione delle linee generali di azione e con competenza su servizi per impiego, politiche attive e Aspi; razionalizzazione degli enti strumentali e degli uffici del Ministero del lavoro che operano in tale ambito, con possibilità di far confluire il personale degli uffici soppressi, con individuazione del comparto contrattuale e della dotazione organica; razionalizzazione e revisione delle procedure e degli adempimenti sul collocamento mirato delle persone con disabilità; rafforzamento del monitoraggio e della valutazione; valorizzazione delle sinergie pubblico-privato con criteri di autorizzazione e accreditamento e definizione dei livelli essenziali; valorizzazione della bilateralità; politiche attive volte a favorire il collocamento di persone inoccupate o disoccupate attraverso accordi di ricollocazione con le Agenzie per il lavoro ed altri soggetti a carico dei fondi regionali; introduzione di modelli sperimentali; meccanismi di raccordo Agenzia-Inps e fra Agenzia ed enti che erogano incentivi; definizione del livelli essenziali delle prestazioni in capo al Ministero del lavoro; programmazione in capo alle regioni e alle province autonome; attivazione della persona che cerca lavoro; valorizzazione del sistema informativo; semplificazione amministrativa con uso delle tecnologie.

Il rafforzamento dei servizi per il lavoro è necessario e non più rinviabile, visto le scarse performance in termini di incontro fra domanda ed offerta di lavoro sia per i centri per l’impiego pubblici che per le agenzie per il lavoro private. A distanza di oltre 15 anni dal decreto legislativo 469/1997 (che ha conferito alle regioni e agli enti locali funzioni e compiti in materia di mercato del lavoro) e di oltre 10 anni dal decreto legislativo 276/2003 (che ha indicato i soggetti autorizzati ed accreditati alla intermediazione lavorativa), i risultati non sono assolutamente soddisfacenti, in quanto il matching osservabile è quantificabile in non più del 3%. Anche in un’ottica di implementazione della Garanzia per i giovani, è quindi fondamentale intervenire, razionalizzando l’esistente e valorizzando le buone pratiche che pure esistono. In questo senso la costituzione di una Agenzia nazionale è condivisibile, in quanto potrà contribuire alla definizione di un quadro normativo maggiormente coerente. Il coinvolgimento delle parti sociali non può, però, essere limitato alla sola definizione delle linee di indirizzo generali di azione. Da valutare anche i rapporti fra l’Agenzia e gli altri enti che si occupano a diversi livelli di servizi per l’impiego, di politiche attive, di ASpI, di servizi di vigilanza, di programmazione (rimane in capo alle Regioni e alle Province autonome quella sulle politiche attive), mentre la definizione di requisiti standard minimi per i centri per l’impiego e le agenzie per il lavoro può essere utile per garantire servizi uniformi su tutto il territorio nazionale. La razionalizzazione degli incentivi all’assunzione, all’autoimpiego e all’autoimprenditorialità non può portare ad un drastico ridimensionamento degli stessi, soprattutto in considerazione del forte gap territoriale, ma soltanto ad un rafforzamento degli strumenti di controllo ex ante ed ex post, compresa una analisi controfattuale di valutazione degli effetti. L’attivazione delle persone con percorsi personalizzati è un obiettivo ambizioso, ma utile, sul quale potrebbe, nel tempo, innestarsi un passaggio precedente che è quello della definizione da parte della scuola di patti con le famiglie per ridurre sensibilmente la dispersione scolastica.

Art. 1, commi 5 e 6

3 – Delega al governo in materia di semplificazione delle procedure e degli adempimenti

L’obiettivo è quello di semplificare e razionalizzare le procedure per la costituzione e gestione dei rapporti di lavoro e in materia di igiene e sicurezza sul lavoro. I mesi di tempo per la delega sono sei. I principi direttivi sono: dimezzamento del numero degli atti di gestione amministrativa del rapporto di lavoro; eliminazione e semplificazione di norme con interpretazioni contrastanti; unificazione delle comunicazione alla pubblica amministrazione; introduzione del divieto per le pubbliche amministrazioni di richiedere già in loro possesso; revisione delle sanzioni, superando la formalità e favorendo il ravvedimento ed introduzione di meccanismi premiali; previsione di modalità semplificate per le dimissioni del lavoratore con data certa ed autenticità della manifestazione di volontà; adempimenti di carattere amministrativo tutti in via telematica; revisione degli adempimenti sul libretto formativo in linea con l’intesa sull’apprendimento permanente e le disposizioni sulla banca dati delle politiche attive e passive; promozione del principio di legalità anche in un’ottica di prevenzione e contrasto al lavoro sommerso.

Le procedure e gli adempimenti burocratici rappresentano un costo per le imprese e, sovente, anche per il lavoratore, il quale è chiamato a fornire documenti e certificati già in possesso della pubblica amministrazione. L’obiettivo di semplificazione è, quindi, condivisibile, anche se non mancano delle criticità nei principi e criteri direttivi delle delega al governo. Nello specifico, se non sembrano emergere particolari controindicazioni sull’unificazione delle comunicazioni e sul rafforzamento della trasmissione in forma telematica, forti perplessità si manifestano in ordine alla eliminazione delle norme interessate da rilevanti contrasti interpretativi, giurisprudenziali o amministrativi, soprattutto se tale processo di semplificazione non è accompagnato da un confronto attento e condiviso. Si rischia di inserire nel nostro Codice del lavoro una sorta di cavallo di Troia, capace di scardinare l’intera impalcatura dei diritti e delle tutele. In altri termini le norme di più complessa e contraddittoria interpretazione devono essere senza dubbio ripensate e chiarite, non semplicemente eliminate, perché spesso operano rispetto a problemi reali sui quali il legislatore deve necessariamente intervenire, anche per evitare ulteriori successivi contrasti e confusioni. Qualche dubbio si esprime anche in ordine alla revisione del regime delle sanzioni; è vero che occorre distinguere gli aspetti formali da quelli sostanziali, ma non si può dimenticare come in Italia, oltre al sommerso, esiste una ampia platea di lavoro grigio, con situazioni fortemente borderline difficili da controllare e gestire, a causa pure dell’esiguo numero di ispettori e di mezzi a disposizione. Il libretto formativo, in un’ottica di rilancio delle politiche attive e di rafforzamento della formazione continua, deve essere rivalutato.

Art. 1, comma 7

4 – Delega al governo in materia di riordino delle forme contrattuali

Gli obiettivi sono: favorire le opportunità di ingresso nel mondo del lavoro; riordinare i contratti di lavoro in linea con le esigenze del contesto occupazionale e per rendere più efficiente l’attività ispettiva. I mesi di tempo per la delega sono sei. I principi direttivi sono: individuazione ed analisi delle forme contrattuali esistenti per valutare la coerenza con le esigenze del contesto produttivo per interventi di semplificazione, modifica o superamento; promozione del contratto a tempo indeterminato da rendere più conveniente rispetto ad altre forme contrattuali; introduzione per le nuove assunzioni del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti; revisione della disciplina delle mansioni in caso di riorganizzazione, ristrutturazione o riconversione aziendale sulla base di parametri oggettivi, bilanciando interesse aziendale e del lavoratore (tutela del posto, professionalità, condizioni di vita ed economiche), con possibilità per la contrattazione collettiva di individuare ulteriori casistiche; revisione della disciplina dei controlli a distanza; introduzione, eventualmente in via sperimentale, del compenso orario minimo, previa consultazione con le parti sociali; estensione del lavoro accessorio nei diversi settori produttivi, con garanzia di piena tracciabilità dei voucher; abrogazione delle forme contrattuali incompatibili con il testo organico; razionalizzazione e semplificazione dell’attività ispettiva, attraverso un maggiore coordinamento o l’istituzione di una Agenzia unica per le ispezioni.

Si tratta della parte del provvedimento che ha conosciuto le più importanti novità rispetto al testo originario. La nuova formulazione, infatti, apre il campo alla possibilità di intervento anche sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori; se è vero che la legge 300/1970 non è esplicitamente citata, è pur vero che la lettera h) prevede l’abrogazione di tutte le disposizioni che presentino difficoltà interpretative e applicative. È questo il caso anche dell’articolo 18, laddove la reintegrazione sul posto di lavoro è demandata, in determinate fattispecie, alla decisione del giudice. Inoltre, la permanenza dell’articolo 18 così come modificato dalla legge 92/2012 è messa altresì in forse dalla previsione – non più eventuale, come prima – del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti da utilizzare in tutte le nuove assunzioni. Gli interventi sulle mansioni e sui controlli a distanza impattano fortemente su altre due tutele riconosciute sempre dalla legge 300/1970. In particolare, il demansionamento senza un accordo collettivo formalizzato con il sindacato rischia di alimentare un fenomeno esistente, ma troppo spesso sottovalutato, anche dal legislatore: il mobbing. La questione dei controlli a distanza sta assumendo un profilo sempre più preoccupante; non si tratta semplicemente di favorire il telelavoro, rispetto al quale il sindacato non ha mai opposto particolari chiusure; si tratta di scongiurare un controllo su ogni atto compiuto – anche quelli non inerenti la vita professionale - dal lavoratore, cosa peraltro già possibile con tutti gli strumenti di geolocalizzazione. In linea generale, una riforma delle forme contrattuali, per essere realmente efficace, deve essere fatta coinvolgendo gli attori sociali ed economici. Il ruolo delle organizzazioni sindacali e delle associazioni datoriali è, infatti, decisivo, in quanto sono poi i soggetti che dovranno dare applicazione alla riforma. Premesso ciò e tenendo conto degli eventuali vincoli comunitari, soprattutto in fatto di aiuti alle imprese, una semplificazione delle attuali forme contrattuali (ne sono state censite oltre quaranta) è utile per ridurre i margini di interpretazione difforme e per rendere efficaci gli incentivi all’occupazione. Secondo l’Unione Generale del Lavoro, le forme contrattuali possono essere ridotte come segue: a) contratto a tempo indeterminato, con il contratto di apprendistato e di reinserimento individuati come strumenti specifici per determinate categorie di lavoratori; b) contratto a tempo determinato utilizzato in particolari situazioni, come il lavoro stagionale o la sostituzione per maternità o malattia, e regolazione del lavoro occasionale; c) contratto in somministrazione, con adeguamento della contribuzione; d) contratto a progetto, ma solo per alti profili di specializzazione, con aliquote contributive in linea con quelle del lavoro dipendente e con precise indicazioni rispetto alla durata, alla ripetitività e al committente; e) contratto di filiera o di distretto, da introdurre in via sperimentale. Sul compenso minimo orario, si rimanda alla contrattazione collettiva nazionale di lavoro, della quale proprio l’individuazione della retribuzione è elemento qualificante. Sulla estensione a tutti i settori produttivi dei lavori occasionali si nutrono delle preoccupazioni, in quanto si rischia di alimentare la precarietà. Manca invece ogni riferimento alla piena attuazione di due principi costituzionali: la registrazione dei sindacati, con conseguente acquisizione della personalità giuridica (art. 39); il diritto dei lavoratori a collaborare alla gestione dell’azienda e quindi la partecipazione (art. 46).

Art. 1, commi 8 e 9

5 – Delega al governo in materia di maternità e conciliazione

L’obiettivo è di dare sostegno alla genitorialità e favorire le opportunità di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. I mesi di tempo per la delega sono sei. I principi direttivi: estensione graduale dell’indennità di maternità a tutte le categorie; garanzia di prestazione anche per le parasubordinate cui non sono stati versati i contributi; introduzione del tax credit per incentivare la partecipazione al lavoro di donne, con figli minori o disabili non autosufficienti, al di sotto di una soglia di reddito individuale ed armonizzazione del regime delle detrazioni; incentivi agli accordi collettivi sulla flessibilità e la produttività con possibile ricorso al telelavoro; eventuale riconoscimento della possibilità di cedere in forma solidale giorni di riposo aggiuntivi ad un collega con figlio minore che necessita di presenza fisica e cure costanti per le particolari condizioni di salute;  integrazione pubblico-privato dei servizi per l’infanzia, compresi quelli erogati dai fondi o enti bilaterali; revisione dei congedi obbligatori o parentali in un’ottica di maggiore flessibilità con estensione dei congedi parentali ad ore anche al pubblico impiego.

La principale novità introdotta al Senato è rappresentata dalla possibilità di cedere giorni di riposo aggiuntivi al collega che necessita di stare accanto al figlio minore disabile o malato. Si tratta di una forma solidale già sperimentata in Francia che potrà essere sicuramente utile per molti lavoratori. Chiaramente questa norma non può e non deve rappresentare l’occasione per tagliare i permessi retribuiti per legge. In generale, l’estensione dell’indennità di maternità è sicuramente una cosa positiva, ma non può avvenire a costo zero, considerando che oggi sono meno di 8mila le lavoratrici con contratto di collaborazione che beneficiano di una forma di sostegno e circa 140mila le donne che ogni anno percepiscono l’assegno di maternità da parte dei comuni. L’estensione dell’indennità di maternità attualmente prevista per le lavoratrici dipendenti avrebbe un costo sicuramente superiore ai circa 236 milioni di euro erogati per il tramite dei comuni, in quanto l’assegno comunale è pari a meno di 1.700 euro a fronte dell’80% dello stipendio in caso di lavoro dipendente. Qualche spiegazione in più è necessaria anche sul tax credit (credito di imposta) per favorire l’occupazione del coniuge debole (sovente la donna) poiché la misura è legata ad un percorso di armonizzazione delle detrazioni per il coniuge a carico. Occorre capire se le detrazioni rimangono o se, piuttosto, come si teme, queste sono destinate a sparire a prescindere dal fatto che poi la donna trovi occupazione. L’utilizzo di strumenti contrattuali come il telelavoro o il part time volontario non è mai stato sufficientemente promosso ed incentivato, come anche una completa integrazione pubblico-privato nei servizi per l’infanzia. Sotto questo profilo, si ricorda il forte ritardo con il quale si sta realizzando il piano di implementazione dei servizi per l’infanzia nelle regioni dell’Obiettivo convergenza con i fondi Ue 2007-2013. La fruibilità oraria dei congedi parentali nel settore privato è già legge, ma l’applicazione è inevasa a causa principalmente del ritardo nell’adeguamento dei relativi moduli Inps di richiesta degli stessi. Una maggiore flessibilità nei congedi parentali è comunque auspicabile con un coinvolgimento, ad esempio, dei nonni che ancora sono occupati.

Art. 1, commi 10, 11, 12, 13 e 14

6 – Disposizioni comuni per l’esercizio delle deleghe di cui agli articoli da 1 a 5

I decreti relativi alle cinque deleghe sono adottati su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali. I relativi schemi, dopo deliberazione preliminare del Consiglio dei ministri, sono trasmessi alle Camere per il necessario parere che deve pervenire entro trenta giorni dalla trasmissione. In caso di mancato parere, il governo è comunque autorizzato ad emanare i decreti. È possibile una proroga dei tempi della delega (tre mesi), se il termine per l’espressione dei pareri cade nei trenta giorni prima o dopo la scadenza della delega. Dalla attuazione della presente delega non devono arrivare nuovi o maggiori oneri; in caso contrario, la pubblicazione dei decreti con nuovi e maggiori oneri è subordinata alla individuazione delle relative copertura, anche in legge di stabilità. Tutti gli adempimenti sono fatti con una diversa allocazione delle risorse umane, strumentali ed economiche. Entro dodici mesi sono possibili dei decreti correttivi.

Il parere delle Commissioni parlamentari è atteso in un tempo oggettivamente breve (trenta giorni) soprattutto se dovessero accavallarsi le cinque deleghe. Forte preoccupazione viene espressa in ordine alla clausola che dall’intero provvedimento non possono arrivare nuovi o maggiori oneri; considerando la mole di interventi, non è pensabile un provvedimento a costo zero, perché ciò significherebbe soprattutto una sensibile riduzione degli ammortizzatori sociali.

 

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